Quello di Verena Lucchesini è uno strano "bestiario", nel quale famiglie animali accudiscono i propri piccoli. Li nutrono, li
proteggono, ne salvaguardano l'esistenza.
Si potrebbe pensare ad una dimensione ingenua che sottende il principio di rappresentazione, tesa a celebrare la ricchezza e la diversità di un
amore universale che - a prescindere dalle "famiglie" cui apparteniamo - si manifesta sempre e comunque: le madri adorano i figli; la figura
femminile è la dimensione che consente alla specie di prolungare la propria esistenza.
Ma questo sarebbe, a dire il vero, ben poco interessante e soprattutto incongruo all'interno del contesto che ospita i lavori dell'autore.
Quello che ritengo curioso è l'uso che viene fatto del colore: un colore che toglie ogni naturalità al gesto che comunque nel regno animale -
quello dei rettili o quello dei mammiferi - sembra manifestarsi. La luce dell'allattamento della scrofa è solo rosa; il compiacimento delle uova
in attesa di dischiudersi del serpente è irrorato di una luce giallo-verde.
In natura tutto questo non si dà, come non si dà nello syereotipo che ogni maiale sia rosa ed ogni serpente sia verde. Forse è la nostra ingenuità
culturale a omologare la complessità di una natura - di cui noi siamo parte - fino a renderla kitsch, come qualsiasi boule à neige.